La Medicina Interna riveste un ruolo centrale nella gestione delle patologie complesse, in costante aumento e spesso caratterizzate da quadri clinici di difficile interpretazione. Tra le sfide emergenti, si inserisce anche quella della nuova “pandemia silenziosa” dell’antibiotico-resistenza, che rende ancora più pressante l’importanza di un approccio internistico.
“L’internista è lo specialista della complessità. Gestisce pazienti che non presentano una singola patologia acuta, ma che hanno una condizione acuta insieme a un contesto di comorbilità, aggravando il quadro clinico complessivo. L’internista è quindi lo specialista di riferimento per questi pazienti”, spiega Antonino Tuttolomondo, professore ordinario di Medicina Interna dell’Università di Palermo e direttore della UOC di Medicina Interna con Stroke Care del Policlinico.
“Il medico internista, con la sua capacità di coordinare il trattamento di patologie complesse e di utilizzare nuovi approcci clinici, rappresenta una risorsa essenziale nel panorama sanitario odierno – aggiunge Tuttolomondo -. La sua flessibilità e competenza sono fondamentali per affrontare le sfide cliniche contemporanee, promuovendo una medicina sempre più personalizzata e orientata al paziente”.
Un approccio integrato alle patologie complesse
Le patologie complesse coinvolgono spesso diversi organi e sistemi. A differenza di altri specialisti, che si concentrano su singole aree, l’internista adotta un approccio olistico e integrato, fondamentale per pazienti con comorbilità multiple. Negli ultimi anni, il ruolo dell’internista si è evoluto, combinando la gestione clinica tradizionale con nuovi strumenti diagnostici e terapie avanzate. Questo approccio non solo migliora l’accuratezza delle diagnosi, ma permette anche di personalizzare le terapie, adattando farmaci e trattamenti al profilo specifico di ogni paziente.
Internisti e patologie cardiovascolari e respiratorie
In Italia, le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte, responsabili di circa il 40% di tutti i decessi. Sono inoltre spesso associate a patologie respiratorie preesistenti, rendendo la gestione di questi pazienti particolarmente complessa.
“Chi soffre di broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è a rischio aumentato di morte cardiaca improvvisa. Le patologie cardiovascolari e respiratorie sono ambiti di competenza internistica perché l’internista non solo tratta la singola malattia, ma valuta anche l’interazione tra patologie e l’organismo nel suo complesso, cercando di curare entrambi in modo integrato”, specifica Domenico Di Raimondo, professore associato di Medicina Interna all’Università di Palermo e collaboratore del professor Tuttolomondo.
L’internista deve saper identificare come queste condizioni interagiscono e influenzano l’organismo nel suo complesso. Grazie a una valutazione olistica, può anticipare complicazioni e scegliere percorsi terapeutici che tengano conto della coesistenza di più patologie, migliorando così la qualità della vita del paziente.
La sfida della farmacoresistenza
L’antibiotico-resistenza è un problema emergente, in particolare nei pazienti che necessitano di terapie croniche. L’internista, grazie alla sua visione ampia e integrata, può modulare i trattamenti in modo da ridurre il rischio di resistenza, scegliendo farmaci o associazioni terapeutiche più appropriate e monitorando attentamente l’efficacia della terapia.
Nuovi approcci e tecnologie al servizio dell’internista
Gli strumenti di diagnostica avanzata e l’intelligenza artificiale stanno trasformando il modo di operare degli internisti. Questi strumenti permettono analisi predittive e consentono di riconoscere pattern di rischio difficili da individuare con i metodi tradizionali. Inoltre, l’uso di sistemi digitali e di telemedicina facilita il monitoraggio a distanza, permettendo all’internista di seguire il paziente anche fuori dall’ospedale.
“La medicina interna è la specializzazione del futuro: sempre più ospedali avranno bisogno di uno specialista che coordini le cure verso una direzione comune, quella del benessere complessivo del paziente”, conclude Tuttolomondo.