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Antibiotici, troppe prescrizioni dai dentisti e mal assunzioni dai pazienti

martedì 10 Gennaio - 2023 | di Anna Boccia | Categorie: News ed eventi, Studio medico

Sono circa 600 le tonnellate di antibiotici assunti dai pazienti italiani.

La maggior parte vengono prescritti per infezioni post chirurgiche, polmoniti, cistiti e otiti, ma anche per problemi che riguardano le gengive.

In particolare, l’uso che se ne fa in odontoiatria è molte volte eccessivo e solo in 2 o 3 casi su 10 si segue in modo corretto la prescrizione fatta dal dentista.

Difatti, molto spesso, gli antibiotici prescritti dal dentista sono necessari se servono a contrastare infezioni acute, come i classici ascessi, ma vi è anche un ampio utilizzo come profilassi per ridurne il rischio.

“La prescrzione di questi farmaci prima di una procedura odontoiatrica chirurgica, secondo uno studio su Jama Network Oipen, è inutile inoltre l’80% dei casi mentre

dovrebbe essere riservato ai pazienti cardiopatici ad alto rischio. Inoltre – spiega Cristiano Tomasi, professore associato presso il dipartimento di Parodontologia dell’Università di Göteborg, in Svezia, ed esperto Sidp – spesso si prescrive amoxicillina per il trattamento delle infezioni croniche come la parodontite, invece che intervenire rimuovendo placca e tartaro subgengivale o, in casi specifici, con interventi chirurgici: questo utilizzo di antibiotici non è previsto dalle linee guida della Federazione Europea di Parodontologia, che invece chiedono di limitarlo al massimo nelle infezioni croniche”.

Inoltre, uno studio delle Università di Salerno e del Molise, pubblicato sulla rivista ‘Healthcare’, dimostra che le terapie antibiotiche prescritte dal dentista sono meno seguite di quelle prescritte dal medico. Difatti solo un paziente odontoiatrico su 2 le segue e solo 2 su 10 (con risultati migliori in chi ha diploma o laurea) dichiarano un’aderenza elevata alla prescrizione, ovvero ne seguono bene durata e dosaggio.

L’antibiotico interrotto prima del termine o assunto in quantità minore del dovuto – precisa Tomasi – è un tipico errore che fa chi lo confonde con l’antidolorifico, ovvero smette di prenderlo appena vede che la sintomatologia migliora. Così, però, si sterminano solo i batteri più deboli, che diventano ‘cibo’ di cui si nutrono quelli più resistenti, i quali trovano così campo libero per riprodursi meglio e aumentare l’antibiotico resistenza”.

Le conseguenze di questi errori sono doppiamente negative.

Nel singolo – conclude – distruggono la flora batterica, ovvero l’insieme di batteri, anche ‘buoni’ che contribuiscono alla salute dell’organismo: uno studio mostra che, se il microbioma della mucosa orale dopo circa un mese dall’assunzione dell’antibiotico tende a tornare alla normalità, mentre quello intestinale ci mette minimo un anno”.

Il danno è però anche per la collettività, perché “l’eccessivo o sbagliato utilizzo aumenta la diffusione di infezioni di batteri contro i quali la maggior parte degli attuali farmaci non è più efficace, fenomeno che porta alla morte di oltre 35.000 persone in Europa ogni anno”. 

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