Ancora oggi la terapia incongrua delle infezioni dentali porta a ricoveri evitabili e a seri pericoli.
Una recente analisi pubblicata sul International Journal of Environmental Research and Public Health, mostra come su 376.940 pazienti ammessi al Pronto Soccorso del Policlinico Umberto I di Roma in 5 anni, ben 6.607 sono entrati in ospedale con la diagnosi di infezione di origine dentale. Dei 151 ospedalizzati, 6 (4%) presentavano in condizioni critiche, con sepsi.
L’infezione dentale in genere è dovuta a carie che raggiungono il nervo o da denti del giudizio non spuntati. “Si tratta – spiega Carlo Clauser – è la reazione dell’organismo alla penetrazione e alla moltiplicazione di microbi, soprattutto batteri, che si moltiplicano all’interno dei tessuti scatenando la risposta immunitaria e spesso determinando la formazione di pus, per l’accumulo di granulociti neutrofili”.
Le tipiche suppurazioni sono causate da stafilococchi e streptococchi e si presentano in due forme cliniche: l’ascesso e il flemmone.
“L’ascesso è una raccolta di materiale purulento in una cavità neoformata o preesistente, come la pericorona di un dente o una cisti. La formazione attraversa tre fasi: nei primi 3 giorni la tumefazione molle e moderatamente doloroso, quindi a tumefazione diventa dura, arrossata, dolente; infine si forma l’ascesso, con una raccolta molle di materiale denso giallastro. L’ascesso tende a delimitarsi: la parete lo circoscrive ed evita l’allargamento dell’infezione“.
Il flemmone è, invece, un’infiammazione dei tessuti molli senza alcuna tendenza alla delimitazione: le difese naturali non sono sufficienti ad arginare l’aggressione batterica.
“Si presenta con cute arrossata, tesa e dolente, mancanza della fluttuazione, notevole edema. Il trattamento non è sempre semplice e può richiedere chirurgie multiple, terapia intensiva e diverse terapie antibiotiche”.
Per l’ascesso localizzato la terapia antibiotica è indicata solo in pazienti immunodepressi. E’ invece controindicata per i non immunodepressi a meno che non vi siano sintomi o segni sistemici.
“Questo non significa che l’ascesso va abbandonato al suo corso naturale: anzi, la terapia chirurgica, con incisione, svuotamento, drenaggio ed eliminazione della causa, deve essere messa in atto con tempestività e, se serve, anche con un’estrazione del dente. Vanno invece presi antibiotici quando l’ascesso non rimane delimitato e si estende a buona parte del volto, oppure se si associa a segni sistemici, come febbre, malessere generalizzato, linfonodi ingrossati: questi segni indicano che le difese naturali non sono sufficienti a contenere l’infezione che tende a diventare sistemica. In questi casi il trattamento antibiotico, in aggiunta alle manovre chirurgiche, deve essere immediato e a dosaggio pieno“.
In attesa di una visita dal dentista, conclude, “possono essere utili sciacqui con acqua calda e sale due o tre volte al giorno, perché facilitano il drenaggio spontaneo”.