“Non basta un corso estero di undici mesi per fare il pediatra in Italia”. A dichiararlo è presidente della Federazione degli ordini dei medici (Fnomceo), Filippo Anelli a seguito di una sentenza del Tar Lazio che evidenzia l’importanza del riconoscimento dei titoli effettuato dal Ministero della Salute.
“La legge che permette alle Regioni di impiegare professionisti stranieri derogando a questo passaggio va cambiata”, sottolinea.
Non possono dunque essere equiparati un corso di undici mesi in neonatologia, frequentato all’estero, e la specializzazione in Pediatria, acquisita in Italia al termine della Scuola di quattro anni. A ribadirlo, il Tar del Lazio, che, con la sentenza n° 17328/2022, ha respinto il ricorso di una dottoressa russa, riconoscendo il corretto operato del Ministero della Salute, che le aveva negato il riconoscimento del titolo.
“Una decisione che appare scontata – commenta Anelli – ma che assume un significato particolare in un momento come questo, nel quale le Regioni impiegano colleghi stranieri saltando il fondamentale passaggio del riconoscimento dei titoli operato dal Ministero della Salute. Un passaggio che, come dimostra la sentenza, non è solo formale, ma sostanziale: certifica, infatti, che tutti i medici e i professionisti che operano nel Servizio sanitario nazionale abbiano competenze uniformi e qualificate per svolgere le loro funzioni”.
Undici mesi contro quattro anni a tempo pieno: sono, rispettivamente, il tempo impiegato da un medico per conseguire, nella Federazione Russa, un certificato di specializzazione in pediatria e quello speso da un collega per conseguire, in Italia, la specializzazione in pediatria. Titoli differenti – hanno stabilito i giudici – non solo per il tempo necessario a ottenerli, ma anche per i contenuti: nel caso specifico, il corso russo trattava solo la neonatologia, che in Italia è considerata una branca della pediatria.